Gorus Me Fecit

La storia del mortaio  (dal latino mortarium che a sua volta deriva dalla radice sanscrita mrdi = macinare o pestare, e trova quasi identica corrispondenza  nelle principali lingue europee) affonda certamente le sue radici nella più remota antichità, se è vero che i primi strumenti per macinare o pestare risalgono addirittura al periodo Neolitico.

Ovunque fosse necessario macinare una sostanza, c’era bisogna di un mortaio con il relativo pestello: strumenti essenziali dunque in ambito domestico per la preparazione di molti alimenti, anche se l’impiego più conosciuto è senza dubbio quello in ambito farmaceutico, cosmetico e alchemico.

Come per molti altri oggetti d’uso, la grande diffusione di questo utensile avviene di fatto in Europa a partire dal Medioevo in avanti e poi soprattutto in età rinascimentale e barocca, con materiali, forme e decorazioni fra le più  diverse e articolate a seconda del luogo di produzione.

Mentre i mortai in legno, pietra o marmo sono in genere di fattura piuttosto semplificata, quelli in bronzo sono invece spesso contraddistinti da alti livelli formali ed estetici, tanto da essere giustamente considerati dei veri e propri oggetti d’arte.

 

 

Il notevole mortaio in bronzo qui presentato è caratterizzato da un corpo a vaso troncoconico – munito di due possenti manici semicircolari cordonati e borchiati ed un piede poco profondo e sagomato – ornato da dieci costolature verticali cuspidate di reminiscenza gotica, secondo un modello piuttosto preciso e diffuso in area toscana ed umbra fra XV e XVI secolo; un modello adottato ad esempio dal celebre fonditore di mortai Crescimbene da Perugia.

Sul bordo superiore del mortaio compare la seguente iscrizione maiuscola a rilievo: GORUS • ME • FECIT  • M • CCCCCV • ESI • REALE • ENOFSARE • NIETE • SEVOI • AVERE • ECORSO • DALAGENTE; questa frase dal significato enigmatico potrebbe essere così interpretata: “Goro mi ha fatto nel 1505, e così autentico, e non falsare niente se [non] vuoi avere punizione dalla gente”, una specie di ammonizione preventiva  rivolta al futuro utilizzatore del manufatto.

L’autore del mortaio è dunque tal Goro, che si rivela essere un noto e celebrato fonditore toscano, visto che il suo nome appare anche su un altro importante manufatto in bronzo e cioè la campana della torre dell’orologio del noto borgo Chianciano, a sud di Siena.

 

 

L’iscrizione sulla campana è la seguente: “UT COGAM CONSILIUM CAUSARUM TEMPORA DICAM OFFICIUM POPULUS IUSSIT ID ESSE MEUM – GORUS DE CLANCIANO ME FECIT ANNO DOMINI MCCCCCVIIII” ovvero: “Il popolo ha ordinato che il mio compito sia quello di annunciare i tempi delle cause – Goro di Chianciano mi fece nell’anno del Signore 1509”.

Come è noto la tecnica fusoria di campane e mortai è pressoché identica e non è quindi strano che nella bottega di Goro siano stati realizzati entrambi i manufatti bronzei mentre è interessante notare come entrambe le due citate iscrizioni siano particolarmente ricche e fantasiose, differenziandosi  dai rari e impersonali testi che solitamente ornano mortai e campane, laddove in molti casi – ma non sempre – viene semplicemente  riportato il nome dell’artefice, la data di fabbricazione e talora il nome del committente.

In modo particolare la presenza di una sentenza così forte su di un mortaio rende questo esemplare davvero unico e raro nel suo genere.

Dalle fonti storiche risulterebbe che Goro sia il più eminente  rappresentante nonché il capostipite  di una importante famiglia di maestri fonditori in bronzo attiva lungo tutto il XVI secolo nella toscana meridionale: da Goro che fuse la prima campana dell’orologio, a Leonardo di Goro – il figlio – a cui la città affidò la cura del meccanismo dell’orologio e della sua installazione, al nipote Luca Alberto di Goro, che sostituì l’orologio e forgiò una nuova campana per la torre.

 

A sinistra: Crescimbene da Perugia, mortaio, bronzo, 1440, collezione Castiglioni. / A destra: Giuliano Mariotto De’ Navi, mortaio, bronzo, Firenze, 1490, collezione Victoria and Albert Museum.

 

Fra i mortai simili per tipologia, qualità e area di provenienza, possiamo citare quello firmato da Crescimbene da Perugia della collezione Camillo Castiglioni e l’esemplare toscano, firmato da Giuliano Mariotto De’ Navi e conservato al Victoria and Albert Museum di Londra.

 

 

Gorus de Clanciano (attivo agli inizi del sec. XVI)

MORTAIO

Bronzo

Italia

1505

Cm 34 x 20.5h

Iscrizione sul bordo: GORUS • ME • FECIT  • M • CCCCCV • ESI • REALE • ENOFSARE • NIETE • SEVOI • AVERE • ECORSO • DALAGENTE

 

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